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Il fumetto di Alfredo Castelli - Horror 50 anni (1969/2019)


Genere: Fumetto | Casa Editrice: Nona Arte | Data di pubblicazione: 16 Gennaio 2020 | Lingua: Italiana | Pagine: 224

Per chi non lo sapesse, Horror fu una rivista pubblicata da Gino Sansoni tra il 1969 e il 1972, ideata proprio da Castelli e da Pier Carpi. Contribuì a portare ai lettori italiani il meglio di un genere in un periodo in cui era un po’ bistrattato: interviste a registi, scrittori, approfondimenti su opere importanti e ovviamente tanti fumetti e illustrazioni, firmati da disegnatori come Aldo Di Gennaro, Dino Battaglia o Sergio Zaniboni.

Nel numero 15 del 1971 appare però una storia breve di due sole pagine molto particolare, che non è attribuita a nessuno di questi nomi bensì alla Zecca di Stato. Si intitola Il sogno del vecchio musicista – Un’opera da mille lire e utilizza dettagli fotocopiati di una banconota da mille lire per raccontare il dramma interiore di Giuseppe Verdi, protagonista di due edizioni differenti di banconote stampate rispettivamente tra il 1962 e il 1969 e tra il 1969 e il 1982.

Talvolta nelle raccolte e nelle ristampe dei fumetti di Castelli i redazionali curati da lui medesimo sono quasi meglio dei fumetti stessi. Dato il mezzo secolo che ci separa dai lavori qui raccolti e la (relativa) giovane età dell’autore quando li scrisse, pensavo che in questo caso sarebbe stato inevitabilmente così; invece questi fumetti mantengono ancora oggi una grandissima freschezza e non sono affatto invecchiati. Forse a preservare certe storie c’è il fatto che sono tratte da racconti e romanzi (di Lovecraft, De Maupassant, Henry James, Stoker, Arpino, Bioy Casares) ma sicuramente l’epoca sessantottina della loro realizzazione ha inciso sulla loro qualità: da una parte incentivando quegli sperimentalismi che spesso rendevano la lettura un vero piacere già a livello visivo o concettuale, dall’altra spingendo a scrivere senza autocensurarsi, senza il timore tutto contemporaneo di offendere qualcuno (volendo, già le donnine delle copertine di Rostagno erano un segnale di questa libertà).

E in quegli anni i disegnatori di fumetti sapevano disegnare, non si nascondevano dietro lo storytelling per giustificare la povertà delle loro tavole (anche con le frecce tra le vignette ho faticato a muovermi in certe tavole di Riccardo Paoletti, ma chi se ne frega: erano bellissime) – forse potevano farlo perché come ricordato da Castelli solo Corriere dei Piccoli, Intrepido e Monello pagavano più di Horror.

A Lucca 2019 Castelli aveva presentato le bozze del volume, in uscita a Reggio Emilia, e se non sbaglio aveva detto che in origine il progetto era quello di una ristampa anastatica, in modo da preservare anche i testi scritti (spesso interessantissimi), cosa però infattibile per una questione di diritti. Per questo Horror è diventata una raccolta dei fumetti scritti da Alfredo Castelli, eccezion fatta per le strisce di Zio Boris già abbondantemente ristampate, per due incipit di fumetti non continuati e forse per alcune one pager de Il gabinetto del Dottor Horror.


Come anticipato da Castelli nell’introduzione, l’horror che dava il titolo alla rivista di Gino Sansoni era ben diverso dal genere come viene inteso oggi: era una cosa psicologica, d’atmosfera, rimandava ai classici del genere (Dracula, Frankenstein, ma anche la letteratura gotica più “alta”) e gli effettacci splatter non erano contemplati, forse nemmeno immaginabili. Le storie giocavano con la sorpresa, presentavano quasi sempre finali a effetto ma quello che le rende efficaci e godibili ancora oggi è il fatto che terminassero spesso in maniera beffarda, con un sarcasmo che ha mantenuto intatta la sua carica cinquant’anni dopo. E comunque certi soggetti erano genialmente folli già in partenza: la statua della libertà incinta! Un fumetto creato usando una vecchia banconota da 1000 lire!
Al di là delle riduzioni letterarie, in alcune occasioni Castelli ha cosceneggiato le storie insieme a Mario Gomboli, Marco Baratelli o Tito Monego.
Si aprono le danze in rigoroso ordine cronologico, con le storie di Castelli tratte dal numero 1 di Horror: Giovanni Cianti fa veramente un figurone, così come uno strepitoso Sergio Zaniboni che gioca con le dimensioni e la posizione delle vignette e gestisce magnificamente una storia che è quasi muta. Entrambi spettacolari. Un po’ meno convincente il Marco Rostagno de Il miglior amico dell’uomo: per quanto forse ispirato a disegnatori umoristici è un pochino ingessato. Procedendo nella lettura, ritrovo il meraviglioso Nosferatu di Gianni Grugef, che non ricordo di aver mai letto stampato così bene (sarà la carta patinata) e fa capolino la coppia Glauco Coretti e Raffaele Silvestri, niente male sebbene non indugino in sperimentalismi ma si ispirino evidentemente agli autori delle strisce classiche. Eccezionale Sergio Tuis, probabilmente “fotografaro” ma con grandissima classe. Il nervoso ma realistico Riccardo Paoletti è stato una piacevole sorpresa e Giampaolo Amstici lo è stato ancora di più: siamo ai livelli di un Alligo o di un Masciangelo. Dignitoso ma ancora acerbo il Fagarazzi della mitica (beh, per me lo è) Vita, opere, vocazione di Geremia Sacchi, scrittore, che scopro essere tratta da Bioy Casares. Le pagine finali a colori sono dedicate all’umorismo di Carlo Peroni, che oltre a due one pager di Zio Boris disegna e colora una spettacolare versione eroticomica di Frankenstein (non molto fluida, però: forse manca qualche pagina sacrificata per ragioni di spazio).
Certo, non tutte le proposte sono allo stesso livello: l’Antonio Sciotti che illustrò Dracula era di matrice prepotentemente popolare (ancor più evidente se confrontata con l’illustrazione di Dino Battaglia che introduce la storia) mentre Leone Cimpellin doveva evidentemente prendere ancora le misure con il genere horror nella sua prima storia, Armageddon!, e lo stesso vale per le prime prove del Carlo Peroni “realistico”. Ma il non esaltante Giorgio Montorio seppe evolversi già nell’arco di un paio di numeri mentre le tavole di Aldo Di Gennaro fanno un figurone anche quando non aveva voglia di disegnare gli sfondi.



La qualità di stampa è buona, non solo considerando che si tratta di materiale pubblicato quasi mezzo secolo fa ma anche per gli standard odierni. Che Castelli abbia conservato gli impianti di stampa di alcuni fumetti? Tanto, anche se lo avesse fatto, oggi comunque si stampa in digitale… La qualità della resa non è uniforme ma anche laddove si notano dei tratteggi impastati o dei segni tremolanti non sono poi così evidenti. E incredibilmente la qualità di stampa di alcuni fumetti è veramente ottima.
Purtroppo dal punto di vista del lettering questo volume adotta ogni tanto gli stessi criteri de Lo Zoo Pazzo, quindi accanto a quello originale alcuni testi sono stati rifatti digitalmente, e mi sa che alcuni balloon (cfr. seconda e terza vignetta de I topi nel muro) sono stati proprio messi ex novo, e d’altronde anche l’onomatopea della seconda tavola della bella storia di Cianti è evidentemente stata inserita con mezzi digitali. Per fortuna non si tratta di una cosa molto diffusa, però lo stacco è percepibile e rompe un po’ la magia della lettura, oltre a far balenare l’idea che non si tratti di una riproposta filologicamente impeccabile ma di una versione “riveduta e corretta”. Mentre invece un intervento correttore sarebbe stato giustificato nella storia Lassù qualcuno ti ama: è ovvio che le ultime vignette di pagina 85 dovrebbero recare la data 1971, non 1970.
I fumetti sono inframmezzati da vari interventi redazionali che non trattano solo della rivista ma parlano anche del cinema e della letteratura horror con annessi e connessi, come i kit di montaggio per mostri citati nella parodia di Frankenstein. C’è persino un fotoromanzo, realizzato dallo Studio Buratti su sceneggiatura di Castelli e Baratelli. Ma come sempre il piacere più grande è leggere gli aneddoti riguardanti quel gran paraculo di Gino Sansoni: a pag. 116 viene ricordato ad esempio come avesse ideato un logo appositamente ambiguo per creare confusione con l’editore Sansoni di Firenze.
Tra il materiale non a fumetti si segnala la riproposta dell’intervista a Mario Bava con tanto di sceneggiatura del suo episodio dell’Odissea televisiva che regalò a Castelli (Bava, un uomo d’altri tempi: «il palo viene abbassato a empire l’obbiettivo»). Non sapevo che nella versione originale di Rosemary’s Baby si vedesse il figlio del demonio, tra l’altro.
L’appendice con l’elenco dei collaboratori di Horror contiene delle interessanti curiosità: ad esempio ignoravo che anche Rinaldo Traini vi avesse collaborato, così come non sapevo che anche Jean Giraud era transitato per quelle pagine. Interessante poi la citazione del fumetto Edamon di Igor Hervatin, se ho ben capito una sorta di Conte di Piombo.


Chiudo anch’io con delle curiosità: il Nosferatu di Gianni Grugef, che non sapevo avessero “scritto” Castelli e Baratelli, è giustamente indicato come la storia più ristampata di Horror, ma Castelli si è dimenticato di elencare la sua apparizione nella Antologia de La Grande Avventura dei Fumetti, la famigerata enciclopedia della DeAgostini. Curioso anche che Castelli non abbia fatto notare come la rivista Vedo Nuda! edita da Sansoni (che in copertina promette «un’inchiesta “senza veli” di Alfredo Castelli»!) fosse stata pubblicata da una delle sue molte etichette che aveva chiamato Nona Arte proprio come quella che ha licenziato questo volume. O è un pastiche di Castelli?
Coerentemente con la natura del genere trattato da Horror, la mia copia offre un supplemento di mistero: in quarta di copertina un adesivo con un codice a barre copre chissà quale misterioso dettaglio (il codice a barre di un altro circuito, ovviamente, ma il volume lo conserverò così).

Prezzo: € 33,15

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